Il plasma dei donatori guariti impiegato nella ricerca scientifica sui virus. Una delle applicazioni potrebbe essere la terapia per il Covid-19, come già accaduto con West Nile Virus, Ebola e Sars. Ma ci vuole tempo.

di Beba Gabanelli (fonte: Avis Regionale Emilia Romagna)

Alla luce delle attuali conoscenze scientifiche non esiste per ora una cura o un vaccino contro il coronavirus. In tutto il mondo equipe di ricercatori tentano diverse strade attraverso la sperimentazione off label di antivirali e in alcuni casi di antinfiammatori e antireumatoidi. Per un vaccino, secondo l’OMS, ci vorranno dai 12 ai 18 mesi anche se la sperimentazione umana è già partita. La scienza deve investigare molte strade contemporaneamente, quando si trova davanti a qualcosa di nuovo e sconosciuto come il Covid-19.

Al momento però, l’unico modo per sconfiggerlo è che si attivino i nostri anticorpi generando una risposta immunitaria. Gli anticorpi, alleati fondamentali della nostra salute, costituiscono una delle funzioni principali del sistema immunitario umorale ovvero del sangue, perché i primi anatomisti chiamavano il sangue umore. E qui entra in gioco il plasma, la parte liquida del sangue che contiene alte concentrazioni di anticorpi. Il plasma dei pazienti guariti o portatori sani potrebbe essere in grado di combattere e indebolire il virus.

Già per le epidemie di Sars, West Nile ed Ebola si è sperimentata questa strada: i presupposti sono promettenti ma non ancora solidi abbastanza per permetterci di vedere una luce in fondo al tunnel, come spiega Giancarlo Liumbruno direttore del Centro Nazionale Sangue in questa intervista.

In Lombardia è appena partito un progetto pilota per far donare plasma a donatori iperimmuni al Covid-19 per trasfonderlo a pazienti malati. Probabilmente anche in altre regioni aderiranno a questo protocollo, anche se controllare la risposta immunitaria di un individuo non è una cosa semplice e i rischi sono ancora alti: del coronavirus sappiamo troppo poco.

Per questo dobbiamo lasciare alla ricerca il tempo e la serenità necessari, e dobbiamo sostenerla il più possibile. Non si tratta soltanto di un sostegno economico: possiamo aiutare a contenere la diffusione del virus attraverso il distanziamento sociale rigoroso, diluendo i contagi e dando ai ricercatori più tempo e meno emergenze. E possiamo donare plasma, che oltre a produrre farmaci salvavita permette di studiare e conoscere sempre meglio questo emocomponente e ad ampliarne le applicazioni terapeutiche.

Un’altro grande aiuto alla comprensione e infine alla vittoria sul virus che ha cambiato le nostre vite può arrivare dalla medicina di genere: le donne si ammalano un terzo in meno rispetto agli uomini. Studiare i meccanismi fisiologici e ormonali che determinano questa importante differenza di reazione nel corpo femminile aiuterà anche a proteggere meglio quello maschile.

Se le ricercatrici e i ricercatori potranno vincere questa battaglia, lo faranno solo con l’aiuto di tutti perché – come dice un’antica poesia cinese – siamo fiori dello stesso giardino.