Ogni donatore nel suo percorso sanitario ha almeno due “camici bianchi” di riferimento: quello del medico Avis e quello del proprio medico di base. Ma che rapporto c’è fra queste due figure? E che ruolo può avere il medico di base per promuovere la donazione del sangue?
Lo abbiamo chiesto a due professionisti che da tempo indossano entrambi i camici: il dr. Francesco Giannini, medico di base a Colombaro, direttore sanitario di Avis Formigine, nonché medico selezionatore in Avis Sassuolo, e il dr. Giovanni Razzaboni, direttore sanitario Avis Medolla e medico di famiglia a Cavezzo.
- Quanto e quando collaborano il medico Avis e il medico di famiglia?
Giannini – Il rapporto tra le due figure passa attraverso il donatore: se dai suoi esami periodici in Avis emerge qualche problematica (es: transaminasi alterate, malattie infettive, anemia importante) lo si indirizza al proprio medico per ulteriori accertamenti.
Razzaboni – Non sempre il donatore lo fa, forse nella convinzione che gli esami Avis appaiano sul Fascicolo Sanitario. Non è (ancora) così: gli esiti vanno portati direttamente al medico, che generalmente tiene conto delle segnalazioni di Avis. In questo periodo inoltre invitiamo i donatori a vaccinarsi contro l’influenza (gratuitamente) proprio rivolgendosi al proprio medico. A volte come medico Avis mi è capitato di contattare io stesso il medico curante per segnalare “campanelli d’allarme” di patologie importanti e urgenti. Potremmo dire che operiamo su due strade parallele verso la stessa direzione.
- Per la vostra esperienza, che sensibilità c’è da parte del medico di famiglia verso la donazione del sangue?
Giannini – Potrebbe essercene di più, in un percorso a doppio senso: così come Avis invita a rivolgersi al medico, così il medico potrebbe invitare a diventare donatore. Se tra i suoi più di 1000 mutuati, anche solo 20 seguissero il consiglio, sarebbe un grande vantaggio anche per il suo lavoro.
Razzaboni – Oggi un medico di medicina generale, magari da poco laureato, si trova 1.800 assistiti da seguire, senza parlare del carico di burocrazia, carte e documentazioni che gli assorbe una enorme parte dell’ attività, oltre a quella clinica. E’ comprensibile che non rimanga tempo per parlare d’altro. Certo, un’attenzione in più ai temi della donazione sarebbe auspicabile, anche perché giova al medico stesso avere donatori di sangue tra i suoi assistiti.
- In che senso?
Razzaboni – Nel senso che il paziente donatore è già in gran parte controllato grazie agli esami di routine che effettua regolarmente. Il suo medico può così concentrarsi in modo più mirato su quegli aspetti (es. urine, tiroide, PSA) che non rientrano nel protocollo Avis. Va poi considerato il lavoro di prevenzione che fa Avis con il controllo costante sulle malattie trasmissibili come Epatite B e C, HIV, sifilide, e ancora i test che effettua per individuare i virus del West Nile Virus su tutti i donatori o della Dengue in presenza di focolai. Sono tutte azioni di grande utilità, dal punto di vista della tutela, della mappatura del territorio e anche di risparmio sulle spese sanitarie, per il singolo medico e per l’intera sanità pubblica.
- Cosa potrebbe fare Avis per coinvolgere di più i medici di famiglia nella promozione del dono?
Giannini – Intensificare la presenza negli ambulatori, con materiale informativo per i medici ma anche locandine e depliant per i pazienti. Avis può così rafforzare la sua immagine di soggetto sanitario e invogliare i pazienti a chiedere informazioni sulla donazione al proprio medico di fiducia che lo può indirizzare alla sede più vicina.
Razzaboni – Informazione, ma anche formazione: promuovere incontri accreditati ECM portando casi e statistiche concreti sul ruolo che riveste il dono volontario nel sistema sanitario in termini di prevenzione, salute e anche risparmio di risorse. Anche in questo caso la parola chiave è “insieme”, ognuno per la propria parte.
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