Ammettiamolo, nella “narrazione” del mondo Avis non si parla spesso di loro, eppure la figura del medico è il vero filo conduttore tra donatori e malati: è nei loro ambulatori che si sancisce l’ok alla donazione, ma si fa anche prevenzione e non di rado si raccolgono confidenze.
In rappresentanza dei circa 40 medici che operano in Avis ne abbiamo incontrati due che i nostri donatori conoscono bene, così come loro conoscono i donatori.

Il dottor Massimo Bevini, già medico di medicina generale a Carpi e da dieci anni direttore sanitario nella sede comunale, dopo la pensione si è dedicato completamente all’attività di raccolta e cura in Avis, prendendo in carico anche la promozione nelle scuole, in particolare con gli studenti delle quinte superiori.

Mi piace stare in mezzo ai ragazzi – dice – sono curiosi e propositivi. Nei nostri incontri nelle scuole (solo quest’anno 40 classi!) chiedo sempre “Siete pronti per sentirvi importanti?” e questo è il primo seme che piantiamo. Poi magari i frutti si vedranno nel tempo, anche dopo qualche anno, ma già oggi registriamo molte decine di giovani iscritti.

Il dottor Massimo Bevini

Molto attiva nelle scuole è anche la dott.ssa Patrizia Quarta, medico “itinerante” in tutte le sedi Avis della provincia, direttore sanitario di quelle di Lama Mocogno, Piumazzo, Nonantola e Marano e responsabile della formazione dei nuovi medici. Per lei Avis è stata una vocazione, fin da volontaria studentessa in medicina e in seguito con la laurea di medico selezionatore. Una scelta consapevole che conferma anche oggi, perché ogni giorno riesce a sorprendersi.

  • Che cosa la sorprende ancora, dott.ssa Quarta?

Le più svariate tipologie di persone che si avvicinano alla donazione e le più svariate motivazioni che le spingono: dal bisogno di sangue che hanno toccato con mano su di sé o un famigliare, fino all’entusiasmo dei diciottenni che vogliono salvare il mondo. Anch’io credo che abbiamo la fortuna di conoscere la parte migliore di questa generazione: quando i ragazzi scelgono di donare sono molto motivati, tanto da superare anche la paura dell’ago, e vivono il loro ingresso in autoemoteca per la prima donazione come un vero traguardo, quasi un gesto da eroi.

  • Come è cambiato il ruolo del medico in Avis, dott. Bevini?

Un tempo il medico era prelevatore, oggi non è più nostro compito, siamo diventati medici selezionatori, il che significa dedicarci in modo approfondito allo stato di salute del donatore, passando dagli esami clinici, ma anche dalla sua storia e dai suoi stili di vita, in modo da escludere ogni minimo rischio e indirizzarlo al percorso di donazione più indicato.

Il nostro è un approccio non solo di tutela, ma di prevenzione e di educazione sanitaria. Come una sorta di sentinelle, al minimo valore sospetto siamo i primi a consigliare di approfondire col proprio medico o con lo specialista.Si instaura così un rapporto di fiducia tra medico e donatore, che si sente tranquillizzato. Io dico sempre che la donazione è il miglior antidepressivo, perché aiuta a volersi bene e dà un obiettivo da raggiungere e da mantenere.

  • E come sono cambiati i donatori, dott.ssa Quarta?

Sono senz’altro più informati e consapevoli, sanno cosa significa stare bene ed è più facile spiegare che una sospensione non è una punizione, ma un atto di responsabilità. Per questo è importante approcciarsi con onestà al dono, dalla compilazione del questionario, che a volte può sembrare ripetitivo, al colloquio col medico.

Sono poi cambiati gli stili di vita, di conseguenza le patologie e le procedure di selezione, che sono sempre normate dal Centro Nazionale Sangue e sulle quali dobbiamo costantemente essere aggiornati. C’è insomma una “catena della qualità” che parte ben prima dell’ atto della donazione e deve rimanere costante in tutto il suo percorso, fino ed oltre alla consegna del sangue al Centro Trasfusionale, col quale peraltro noi medici ci interfacciamo ogni giorno in continua collaborazione.

  • L’ultima domanda ad entrambi: consigliereste ad un giovane medico il lavoro in Avis?

Come responsabile della formazione – dichiara la dott.ssa Quarta – è quello che faccio costantemente e ne sono fermamente convinta. Il medico selezionatore non è solo una firma per l’idoneità, è un lavoro di prevenzione, un’esperienza completa, vicina a quella del medico di base, che consente di prendere in carico un paziente che si presume sano ma potrebbe avere delle patologie, quindi arricchisce le capacità di indagine.

E poi si svolge in un ambiente accogliente e positivo, dove volontari, operatori, infermieri e donatori sono tutti fortemente motivati, e questo posso testimoniarlo in ogni sezione in cui sono di turno.

Per un giovane medico – conclude Bevini – lavorare in Avis è formativamente utile, proprio perché non è legato ad una specifica patologia. Il valore aggiunto è che si entra a far parte di una famiglia, dove ci si trova bene e non si finisce mai d’imparare. Personalmente ora mi alzo prima di quando andavo nel mio ambulatorio, ma non mi pesa neanche un po’.